mercoledì 26 settembre 2012

I Programmi per Sensibile Contemporaneo 2012 in Sicilia

 I Programmi per Sensibile Contemporaneo 2012


ibicultura
Me, and

Adattamento e drammaturgia: Giuseppe Muscarello
Coreografia e regia: Giuseppe Muscarello
Musiche: AA.VV.
Danzatori: Giuseppe Muscarello, Federica Marullo


Me-and, partendo da una ricerca sul movimento, affronta in chiave ironica un tema profondamente serio: la sessualità da una parte, la spinta pulsante verso una meta artistica dall'altra.
Ecco dunque un uomo, un intellettuale velleitario alla ricerca della sublimazione, meccanismo che sposta la pulsione sessuale verso ambiti non sessuali, una donna, proiezione del rimorso culturale dell'uomo  e  della  sua  “desublimazione”,  il  sesso  dell'uomo,  che  contrasta  la  razionalità dell'intellettuale imponeno il proprio istinto.
Una piece tragicomica non lontana dell'assurdo.
Può un desiderio incontrollato condizionare se non, addirittura, governare le nostre azioni? Può un organo genitale, con I suoi impulsi, sopraffare la volontà della mente?
Seguendo logiche e percorsi diversi, per l'uomo e per la donna, la risposta finale è indubbiamente affermativa, come Moravia per esempio ci ha suggerito con “Io e lui”.
Materialità, superficialità, sconfitta dell'amore come valore: specchio di una società il cui potere è spesso delegato alla stupidità umana.
Punto focale dell'opera è dunque il corpo che, affidando la narrazione al movimento, si fa specchio dei propri umori.



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 ArteVOX e Linguaggicreativi
AUT
un viaggio con Peppino Impastato


Progetto di Stefano Annoni, Marta Galli, Roberto Rampi e Paolo Trotti
Testo di Paolo Trotti, Simona Migliori e Giuseppe Adduci
Con Stefano Annoni
Consulenza per Teatro d’Ombra Barbara Bedrina
Voce Registrata Milo Minella
Regia di Paolo Trotti

Aut è un viaggio, un viaggio di un treno fantasma, un treno che corre su quelle rotaie che saranno la tomba di Peppino. Lui è seduto su quel treno e dal finestrino vede passare la sua vita. Vita che non si ferma neanche con la sua morte. Vita che non poteva mai essere vita privata ma era lotta e politica. Il treno e la radio diventano teatro per raccontare la sua storia. Peppino si racconta. E lo fa in modo schizofrenico, saltando da un’immagine, da un ricordo, da una trasmissione all'altra. Com'erano i suoi sogni, schizofrenici. Le sue trasmissioni. La sua voglia di trasgredire. Arrivando fino al sogno... Lo spettacolo è lui, solo come negli ultimi giorni di vita, “eroe o vittima è il protagonista della sua propria esistenza”.
Abbiamo utilizzato le sue parole, le abbiamo piegate e tagliate per renderle teatrali, abbiamo rubato dai classici e abbiamo scritto cose nuove.
Onda Pazza (trasmissione satiro-schizo-politica di Radio Aut)  ha degli spunti veramente comici, provando e dissacrando il mito, lo abbiamo immaginato, oggi, a condurre un suo one-man show. Lui stesso usava il teatro e spesso lo definisce uno tra i momenti più riusciti della sua attività. E inoltre scriveva di sè, si raccontava, come in una sorta di diario.
In Peppino ci sono sicuramente degli importantissimi messaggi universali, la sua stessa vita è un esempio incredibile, ma c'è anche l'uomo. Con le sue debolezze e i suoi tanti momenti bui. La sua incapacità di intrattenere rapporti personali, di avere una fidanzata. La depressione che lo porta addirittura a scrivere di volersi togliere la vita. E poi c'è il militante politico, il compagno, il cane sciolto, il rompicoglioni.
Siamo andati proprio nella sua Cinisi a presentare questo lavoro. Abbiamo camminato con i suoi amici, siamo entrati nella sua casa, abbiamo mangiato con il fratello, abbiamo visto aprirsi le porte di casa Badalamenti. Ed è con questo negli occhi e nel cuore che ora portiamo in giro questo lavoro.

Stefano Annoni, Paolo Trotti

AUT è il quarto tassello del lavoro che ArteVOX porta avanti dal 2007 su progetti teatrali e culturali di “costruzione della memoria”. La memoria è il ricordo di qualche cosa di vissuto. Ricordare (re-cordis, riportare al cuore) significa richiamare alla mente e al cuore avvenimenti del passato, ritrovare e ripercorrere le emozioni che il tempo ha depositato. Ma ciò che non si è vissuto non si può ricordare. Così la memoria degli eventi passati e delle grandi figure, dei testimoni e dei maestri del ‘900 è qualcosa che va costruito. Occorre creare un vissuto in chi non c’era, produrre emozioni e, attraverso lo spiraglio che queste emozioni aprono, accompagnare i fatti, gli avvenimenti, le notizie. Solo l’arte sa generare dei vissuti in grado di creare una forma di ricordo collettivo e fuori dal tempo. Da qui l’importanza del teatro, meta-esperienza per eccellenza, principale generatore di emozioni e vissuti.

“AUT, un viaggio con Peppino Impastato” ha debuttato il 7 maggio 2010 a Cinisi (Pa) all’interno delle iniziative organizzate per il Forum Sociale Antimafia da Casa Memoria Peppino Impastato in occasione del 32° anniversario della morte di Giuseppe Impastato.



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“NOVECENTO”
Dal monologo di
Alessandro Baricco

con Carlo Vitale
Musiche Mariano Bellopede
Luci Gianni Caccia
Costumi Viviana Ginebri
Aiuto regia Carlotta Gargiulo
Regia Enrico Santori - Carlo Vitale


Che cos’è lo spettacolo per il narratore Tim Tooney? La domanda ce la siamo posta molte volte, forse una delle risposte possibile è: che Tooney ha nella testa una storia importante da raccontare perché solo quello gli è rimasto, la tromba l’ha venduta ma l’ha sostituita con la leggenda che gli ha lasciato il “pianista sull’oceano”. –Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla-  il testo; un pretesto. Un onda continua nel perpetuo ripetersi di ricordi che affiorano, emozioni che emergono vivendo quell’attimo di luce, per poi di nuovo affondare negli abissi della memoria… indelebile. Non è un caso che Baricco parli di musica, di mare e di un uomo che vivrà tutta la sua vita di questo e si nutrirà di parole che gli vengono regalate, di emozioni e colori donati dai passeggeri che viaggeranno sulla sua terra il Virginian. Tutto ciò lui lo tradurrà in musica. Non ha bisogno di scendere… quello è il suo mondo, la sua terra, la sua vita, tra una prua ed una poppa nell’immensità dell’oceano.

“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa… e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire… Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi… Eppure c’era sempre uno, uno solo, uno che per primo… la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte…magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni… alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare… e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov’era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava: l’America.”
Questo è il felice esordio del meraviglioso testo teatrale di Baricco. Pagine straordinarie, intense e ricche di magia. E’ la storia di un pianista eccezionale, capace di suonare una musica meravigliosa. Il suo nome è Novecento ed è impossibile non esserne rapiti. A dire il vero, il suo vero nome è Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento. Ancora neonato viene abbandonato all’interno del piroscafo Virginian, dove viene trovato per caso da un marinaio che gli farà da padre fino all'età di otto anni, quando morirà in seguito ad una ferita riportata durante una burrasca. Il bambino scompare misteriosamente nei giorni conseguenti la morte del padre e quando ricompare incomincia a suonare il pianoforte. Un pianoforte che suonerà per tutta la vita.
Boodman T. D. Lemon Novecento è un uomo che vive attraverso i desideri e le passioni altrui, un uomo che si realizza e si annulla con la musica, che vive sospeso tra il suo pianoforte ed il mare, con il quale è in grado di rivivere, in modo fantastico, ogni viaggio, ogni sensazione gli venga raccontata dai passeggeri del piroscafo.
E’ nato e vissuto, Novecento, sul piroscafo Virginian ed è incapace di scendere ed affrontare la vita sulla terra ferma. La musica, quella che suona “perché l’oceano è grande e fa paura” è l’intera vita sua.


Hanno scritto in breve:

Rinascita  (Roma)                 
Stralunato dolcissimo pianista sull’oceano.
                                           Caren Aquino

La sicilia (Agrigento)                  
Un Vitale dall’intensità vocalica e timbriche, i suoi movimenti vocali dal rutilare delle immagini che sostituiscono dal suo gesto eloquente ed energico perfettamente commisurato al prodigio creativo della a convertirsi in mito e poesia. Una magia di atmosfere.
                                             Luisa Trenta Musso

Italia sera    (Roma)              
“Sulle onde” della musica. Strordinario successo dello spettacolo di Vitale
                                            Stefano Palinga

Il Tempo    (Roma)                
Sulla nave di Baricco è salpato anche Vitale. Respira la scrittura di Baricco conferendo una delicata e trascinante sonorità riuscendo a colorire la sua recitazione di timbri vocali sempre diversi giocato con assoluto rispetto dei tempi scenici.
                                           T.D.M.

Il giornale d’Italia  (Roma)              
L’oceano il suo habitat naturale, il pianoforte la ninfa vitale
C.V. è bravissimo nel donare alla platea il pathos magico del teatro, trovando la tonalità giusta per far esaltare la tonalità del suo ruolo, l’ultimo dei romantici portato ad accompagnarsi agli eventi senza forzarli.
                                          Paola Aspri

Il Roma    (Napoli)
Il monologo di Baricco affidato alla
mistica enunciazione di Vitale affascina, avvolge ed emoziona.
 Carlo Vitale fa lievemente rivivere le gesta del pianista “Novecento”snocciolando con parole sinuose e penetranti la sua complessa ed affascinante vita sulla nave da crociera Virginian. Evocando quello stesso mare, quella stessa musica e quello stesso personaggio che nasce e muore su di un transatlantico proprio quando in america qualcuno inventa il jazz, Vitale sembra trarre il meglio dall’essenza di Baricco.


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 Associazione Culturale Yupiter! 41
In collaborazione con La Bicicletta Rossa

Il fazzoletto di Dostoevskij
Di Giuseppe Manfridi

Regia e adattamento Anastasia Costantini
Con Paolo Pollio

Abbiamo un personaggio: Pavel Petrovic.
Abbiamo un oggetto: un fazzoletto di batista bianco.
Abbiamo una data: 28 gennaio 1881.

“Quel che segue lo dedico soprattutto a voi. Vi voglio commuovere e ci riuscirò”

Una marcetta funebre intonata da una banda che sa di raccogliticcio. Siamo in un risicato salottino dell’abitazione di Pavel Petrovic. In un angolo, Pavel Petrovic.
Pavel Petrovic triste lo è. E’ da poco morta Lizeta, sua moglie, il cui corpo, secondo l’uso russo, giace su un tavolo nella stanza a fianco. Pavel Petrovic tace, freme, osserva. Compiange Liza, racconta del suo amore passato per la moglie di Dostoevsky Anija, si  racconta attraverso i suoi amori non amati… ci regala la Storia grottesca e comica di un equivoco e la confessione della sua fragilità.
Che rapporto può esserci tra un impiegato di sportello al banco dei pegni e l’illustrissimo Fedor Dostoevskij? “Nessuno”, diremmo. E invece no: lo spettacolo si costruisce proprio su questo ipotetico legame, per mezzo di un’improbabile casualità o una più certa provvidenza.
Pavel Petrovic, impiegato di sportello,  vive di simboli come  i suoi “attori-marionette”, come un fazzoletto di batista bianco… o addirittura bleu… fino a diventare lui stesso un simbolo. È in questo continuo saltare dal presente al passato il fascino di una “Confessione”.
L’attore-personaggio si confessa in scena offrendosi  al  pubblico…
Un attore…
una scena, all'inizio vuota, ma che alla fine sarà piena di oggetti, di persone, di odori… ogni cosa sarà una storia, frammento di un mondo scomparso o forse neppure mai esistito. Tutto si fonde in un continuo gioco di specchi, con il corpo dell’attore che vive attraverso di essi, dentro di essi, e si trasforma, diventando ciò che è stato o che avrebbe potuto essere, con i suoi errori e le sue colpe. E lo spettatore accoglie questa sua confessione.
Lo assolvera?

Roma, 3 apr 2009
Quando un artista ha la grandezza e l'ombrosità di Dostoevskij, è lecito immaginare che i recessi del suo vissuto siano un ospizio di intrighi, raggiri, delitti, trame losche, incontri equivoci. La cupezza del genio regala spazio alla morbosità dei suoi interpreti: e via col fiorire indiscreto della fantasia postuma, dell'aneddotica leggendaria, del sospetto romantico.

Hanno scritto in breve:

[...]
Paolo Pollio ha il physique du rôle, la concentrazione e la giusta tempistica espressiva: alterna toni ossequiosi e arrabbiati, mimica dolce e scatti impulsivi, dirige bene la lotta immaginaria con i demoni di Pavel. L'esito della pièce, come sempre in un teatro parlato e non esibito, che suggerisce ma non spiega, sta nel cuore dello spettatore: tocca a lui decidere se la sperimentazione è riuscita, se l'autore ha fatto una proposta convincente, il regista una confezione adeguata e l'attore una lettura congrua. Ma al di là dei pareri personali, Il fazzoletto di Dostoevskij colpisce per la ricchezza di immagini e stati d'animo che evoca su una scena spoglia: è un concentrato di possibilità narrative, che rapisce e suggestiona.
Elisa Lorenzini  www.lungotevere.net

Roma, 10 aprile 2009
[...]
Paolo Pollio è un artista vero, senza fronzoli, che con  a sua lievità è riuscito a commuovere un ‘intera platea per quattro sere al Piccolo Teatro Campo D’Arte, con una piccola ma valente opera di Giuseppe Manfridi, Il fazzoleto di Dostoevskij. È vero, il teatro è piccolo, non eravamo un pubblico numeroso, ma eravamo un pubblico conquistato. Una platea segnata dalle parole e dai gesti di Pollio, che è riuscito a rendere dei burattini i veri protagonisti e pochi arredi un mondo intero. I complimenti vanno anche ad Anastasia Costantini per la convincente regia: ha saputo adattare meravigliosamente il monologo a quel grazioso salotto che è il palco del Piccolo Teatro Campo d’Arte, rendendo perfetto l’uno all’altra.
Maria Paiano www.ilmachete.it

Roma, 5 aprile 2009
“Non mi avete mai perdonato nulla e mi avete accusato di essere motivo della morte di mia moglie” dice con fare concitato ma controllato Pavel Petrovic. Un cappello bianco tra le mani lo fa parlare del suo passato, così mal visto dai parenti di lei e trascorso alla perpetua ricerca di donne sempre nuove. Anche un corso di stenografia, illustrato magistralmente da Paolo Pollio con movimenti che scrivono nel vuoto, diviene pretesto per circuire le sue amanti.
[...]
Ilaria della Croce www.oltrecultura.it

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 Mda Produzioni Danza
in collaborazione con Estreusa e Teatri di Pietra

 Del MINOTAURO
da Cortazar e Durremant

drammaturgia e regia Gatti/Maccagnano
coreografia Aurelio Gatti
musica  AA.VV

con Carlotta Bruni, Rosaria Iovine, Rosa Merlino, Sara Rossi
e Cinzia Maccagnano e Carlo Vitale
Scene e costumi Capannone Moliere
disegno luci Stefano Stacchini

La vicenda del Minotauro un mysterium tremendum. Ci attira e ci respinge. è mirum‚ è admirandum‚ è fascinans; di fronte all'animalità e insieme umanità del mito‚ noi siamo colpiti‚ a un tempo‚ da tremor e stupor per usare la terminologia dotta «Che cos'è ciò che traspare fino a me e mi colpisce il cuore senza ferirlo? Timore e ardore mi scuotono: timore per quanto ne sono dissimile‚ ardore per quanto ne sono simile» (dalle Confessioni‚ Agostino).

Mistero del diverso‚ incompreso e inspiegato‚alieno e alienante‚ interamente avulso da quanto ci è familiare e noto. Pesa sul Minotauro il fato dell'innocente‚ dell' innocentemente crudele‚ dell'essere incolpevole condannato dagli dei a essere crudele e insieme a essere colpito per quella crudeltà. Grava su di lui la colpa di lussuria della madre e del mondo; si manifesta in lui non solo il destino della bestia - che è quello di essere sacrificata - ma anche il prorompere della bestialità nell'uomo; bestialità che‚ in quanto tale‚ deve essere punita con la morte: ed è una morte insieme necessaria e ingiusta. Nel Minotauro infelice‚ abitatore delle tenebre inestricabili‚ si rilegge e si identifica la storia di un mondo femminile contemporaneo costretto : Arianna e il Minotauro‚ stessi protagonisti di un unico sentire.
E' la storia del Minotauro‚ di Arianna‚ di Teseo e del labirinto. Con un particolare: Arianna affida il famoso filo a Teseo (qui un eroe sciocco e presuntuoso) non per aiutarlo ad uscire dal labirinto‚ ma per rivedere suo fratello‚ il Minotauro‚ del quale è innamorata. Arianna sa bene che il Minotauro può distruggere Teseo in un sol colpo. Ma il Minotauro‚ che è il "signore dei giochi" di tutti i giovinetti inviati nel labirinto per il presunto sacrificio‚ sceglie invece di farsi uccidere dall'arrogante eroe per ottenere sempre l'assoluta vittoria: popolare i sogni degli uomini fino alla fine del tempo.
Suggestioni da Minotaure et le nu (Le Viol) di Picasso :
Il Minotauro aggredisce una donna. La scena di violenza è resa ancora più drammatica dall'uso del disegno in bianco e nero. Sembra quasi che l'aggressività insita nell'uomo‚ trovi qui una problematicizzazione nell'antica coscienza del mito. Non è infatti un uomo ad aggredire quella figura femminile‚ ma il Minotauro: forza cieca ed istintiva‚ esso non conosce né il bene né il male‚ opera al di là di ogni morale o logica razionale. La cultura‚ l'educazione non possono nulla contro qualcosa che è nell'uomo da sempre‚ che è parte del suo essere biologico: "non si può andare contro la natura‚ essa è più forte dell'uomo più forte! Ci conviene andare d'accordo con la natura." (Maurizio De Micheli).
La donna d'altra parte subisce questa brutalità e non è chiaro fino a che punto essa possa o voglia difendersi; la mano che allontana il violentatore sembra non avere energia e la donna appare quasi abbandonarsi ad esso. Aggressore e vittima‚ violenza perpetrata e violenza subita: la difficile dialettica di questi due poli sembra essere messa all'indice‚ a far risaltare l'ambiguità di un rapporto in cui la responsabilità non ricadrebbe da una sola parte. Discorso difficile da fare ed ancora più difficile da accettare. Il mondo diviso nettamente in buoni e cattivi è molto più comprensibile e controllabile‚ ma sappiamo pure che non rispecchia la realtà.
Proviamo ora ad estrapolare dalla prima impressione ricevuta e a non pensare che si tratti tout court della violenza di un uomo su di una donna. Ed infatti non è questo‚ perché altrimenti l'attore non sarebbe il Minotauro ma l'Uomo. Allora forse potremo vedere in questa figura‚ passibile di molte interpretazioni (per esempio Jung vede in esso l'archetipo dell'immagine materna divorante)‚ la brutalità istintiva‚ l'eros‚ la carica primigenia della natura‚ così come dell'uomo‚ che afferma con violenza il proprio diritto ad essere possedendo. Brutalità‚ violenza che può mascherarsi sotto mille facce‚ può prendere oggi quella del potere economico‚ politico‚ culturale‚ sessuale‚ razziale od anche tutte quante insieme. Una violenza che attraverso mille canali può entrare anche nella nostra vita. Allora anche ognuno di noi può esserne direttamente ed individualmente coinvolto. Come la donna aggredita dal Minotauro‚ quante volte anche noi di fronte a violenze più o meno plateali abbiamo saputo o voluto difenderci fino in fondo?
 
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MDA PRODUZIONI DANZA
Studio per ECUBA
da Euripide

drammaturgia Maccagnano/ Gatti
regia e coreografia Aurelio Gatti
musica originale Lucrezio de Seta
con Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Carlotta Bruni, Rosa Merlino

luci Stefano Stacchini
realizzazione attrezzeria e costumi Capannone Moliere

Studio per Ecuba nasce dalla raccolta dei materiali elaborati per il prossimo debutto dell'ECUBA euripidea previsto per luglio 2012.
Ne è scaturito un lavoro inedito‚ sia per la fattura della messa in scena ( molto incentrata sul danza teatro ) che per i temi suscitati dall'approfondimento del personaggio Ecuba:
madre di cento figli‚ regina di Ilio‚ testimone della mattanza che investirà tutta la sua famiglia sino allo sterminio.
Per noi Ecuba è anche l'estrema difesa dell'identità e della storia‚ donna - prima ancora che regina - che cerca strenuamente di "salvare" la memoria di una razza‚ di un popolo e di una discendenza.
Regale e regina nelle Triane e in tutta la prima parte dell'Ecuba..... fino alla scoperta dell'uccisione del piccolo Polidoro. La distruzione sistematica di Troia‚ dei suoi palazzi‚ delle sue mura e delle genti troiane sino ad allora è " sopportabile" nella speranza segreta che memoria e progenia potessero essere salve presso l'alleato e amico Polimestore. La cagna/Ecuba nasce dalla consapevolezza dell'annullamento di una stirpe‚ di una città e della sua civiltà.
Tre lingue‚ la danza‚ la musica e la parola per inviare lo stesso messaggio: ogni guerra è un immane misfatto dell'uomo‚
qualunque ne sia la causa; è un male terribile per tutti‚ vincitori e vinti; il cuore femminile‚ più di quello maschile‚ ne è travolto e grida‚
con tutta la forza della passione e dell'amore‚ fuori da ogni canone e da ogni ambiguo sofisma;
insanabile è la lacerazione di una madre‚ di una sposa‚ di una sorella o di una figlia‚ insostenibile la loro sofferenza‚
irrefrenabili la loro maledizione e la loro vendetta.
Il teatro tragico greco è ‚in tal modo‚ rimesso al centro della scena fosca e insanguinata della nostra epoca; è riproposto come sintesi di tutti tempi degli uomini‚ devastati sempre dalla brama di potere che genera la guerra‚ e sempre sopravvissuti grazie allo stesso dolore‚ all'incrollabile volontà di espungerlo‚ volta per volta‚ dal proprio grembo.
In Ecuba non c'è il fascino misterioso e romantico dell'irrazionale‚ quanto la coscienza agghiacciante dell'annullamento della sua esistenza come parte di una vita‚ di un popolo e della sua storia.

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BOTTEGA DEL PANE/MDA PRODUZIONI
LE GEOMETRIE DELLA PASSIONE
CLITEMNESTRA e CASSANDRA


ideazione e coreografia Aurelio Gatti
drammaturgia Cinzia Maccagnano, Aurelio Gatti
musiche Corelli, Grieg, Mahler,Zimmer, Tartini
fonti Omero, Eschilo, Yourcenar
con Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Aurelio Gatti
costumi e attrezzeria Capannone Moliere
disegno luci Stefano Stacchini

Perchè  Clitennestra?
Probabilmente la necessità di indagare ulteriormente su questa figura che‚ nelle diverse sfaccettature‚ risulta sempre ridotta allo stereotipo della donna passionale. Eppure c'è poca passione nella figura ritratta da Eschilo quando annunzia la vittoria su Troia e tutt'altro che passione inducono le parole taglienti della figlia Elettra o le evocazioni di Crisotemi.
Eppoi l'incontro con Cassandra. Altra donna costretta ad un primato di sofferenza per la sua veggenza....... cosa conosce questa donna della regina Clitennestra.
Geometrie fin troppo lineari‚ trattandosi di mito‚serrano questi due personaggi femminili assoggettati allo stesso uomo.
E il sentimento che ne nasce va oltre la passione.
Chi è dunque Clitennestra?
Figlia di Giove‚ e di Leda moglie di Tintaro re di Sparta. Clitemnestra aveva sposato Tantalo‚ figlio di Tieste‚ e siccome a Tindaro dispiaceva di esser legato in parentela col figlio d'uno scellerato‚ così indusse Agamennone a vendicare l'uccisione del padre‚ promettendogli la mano di Clitennestra. Il giovane Atride‚ ucciso di sua mano il rivale‚ ne sposò la vedova‚ dalla quale ebbe quattro figli‚ Oreste‚ Elettra‚ Ifigenia‚ e Crisotèmi. Quando partì‚ con la sua flotta‚ per la guerra di Troia e fu‚ costretto‚ a sacrificare a Diana‚ da lui involontariamente offesa‚ la figlia Ifigenia‚ per indurre Clitennestra a portargliela da Argo‚ le fece credere che intendeva sposarla con Achille: e di questa crudele menzogna del marito Clitennestra serbò tenace memoria‚ anzi dell'odio concepito‚ da allora‚ contro di lui‚ si fece una giustificazione dell'adulterio compiuto con Egisto.
Ma come mai essa avrebbe potuto giustificarsi di aver cercato di far morire anche il proprio figlio Oreste‚ il quale‚ fra l'altro‚ sarebbe stato impedimento agli ambiziosi propositi dell'amante di lei‚ Egisto‚ d'impadronirsi‚ come s'impadronì‚ del regno di Argo? Per fortuna di Oreste‚ la sorella Elèttra‚ che vegliava su di lui‚ riuscì a sventare le insidie della madre disumana‚ e ad allontanare il fratello che‚ di venuto adulto‚ per vendicare il padre‚ uccise Egisto difeso disperatamente da Clitennestra‚ contro la quale si volse volontariamente‚ o a caso‚ il ferro del figlio.
Clitennestra è una donna ammalata d'odio e di amore‚ è la testimonianza pubblica di una donna-moglie-madre-amante dotata di una femminilità spietata e di una tenerezza feroce‚ è la silenziosa e lucida autodifesa di una donna sola di fronte alla condanna per l'uccisione del marito Agamennone:
Ella pare non conoscere paura né incertezza‚ piuttosto compiacimento per la vendetta nei confronti dell'uomo che l'ha abbandonata. La sua furia sembra essere una furia sacrificale guidata da una Dike atavica. Clitennestra è cosciente di non essere né colpevole né innocente: un demone vendicatore ‚ a lungo sopito‚ si è impadronito di lei.
Non c'è altro‚ dissimulatrice e superba‚ ambigua e feroce‚ tenera e beffarda‚ Clitennestra è una donna in attesa. è un delirio di immagini che gemmano dalle sue parole‚ dai gesti asciutti‚ quasi domestici.
Evocazioni create a sedurre più che a farsi dominare dalla ragione.
E testimone in attesa è anche Cassandra‚ a cui è chiara‚ oltre il presagio‚ la sorte.
E' il primo studio per ricercare e comprendere la linea sottile che divide la follia dalla passione.